STORIE de STORIA de MUIA

Questue epifaniche o dei Tre Re

LE QUESTUE EPIFANICHE Questua (o Colèda) dei TRE RE Cenni storici Collegate alla festa dell’Epifania (dal greco Ephipanèia = Manifestazione) le questue epifaniche si collocano in un periodo considerato sacro anche in epoca pre cristiana. In questo periodo infatti il periodo di luce solare ricomincia progressivamente ad aumentare e seguiva le celebrazioni del “Sol Invictus” (25 dicembre) risalenti al I-II secolo dopo Cristo. Nella Roma pagana, il sesto giorno di gennaio veniva celebrato il trionfo di Augusto, fondatore e pacificatore dell’Impero. La Chiesa di Roma adottò nel IV secolo l’Epifania orientale che metteva in evidenza soprattutto la manifestazione di Cristo ai pagani (Magi). Da ciò in diverse regioni europee tale festività venne associata in particolare a questi personaggi diventando appunto il giorno dei Tre Re. Trijie Kralji in Slovenia, Drei Konige in Germania e Austria, Tre Res nella Contea di Gorizia.  Nei secoli le tradizioni legate ai Re Magi divennero sempre più importanti ma solo nel XIV secolo il carmelitano Giovanni di Hildesheim nell’opera Historia Tium Regium raccoglie leggende e racconti legati a questi personaggi identificando nella vicenda dell’indovino caldeo Balaam nel libro dei Numeri la chiave di lettura corretta per identificarli. Il 10 giugno 1164 l’imperatore del Sacro Romano Impero Federico il Barbarossa fece trasferire le presunte spoglie dei Magi a Colonia. Queste si trovavano a Milano dopo esservi giunte da Costantinopoli dove erano conservate nella cattedrale di Santa Sofia dal IV secolo per iniziativa del vescovo Eustorgio. Con questa decisione l’Imperatore volle punire la città di Milano per il suo tentativo di ribellione. Milano Capitello Basilica di Sant’Eustorgio: il vescovo è aiutato da un angelo al trasporto dell’arca contenente i tre corpi dei Re magi. I buoi si arrestarono improvvisamente nell’area dove sarebbe sorta la basilica. Il reliquiario dei Re Magi a Colonia in legno rivestito d’argento d’orato, XIII secolo La tradizione fece assumere ai Magi i tratti somatici dei popoli di Europa, Asia  e Africa (Semiti, Camiti e Jafetiti) e gli vennero dati i nomi di Caspar (Gaspare), Melchior (Melchiorre) e Balthasar (Baldassarre).  Anche i doni assunsero un significato mistico, infatti ad Oro, Incenso e Mirra vennero associate la regalità del Messia, la sua essenza Divina e la sua mortalità. Un’altra chiave di lettura associa i Magi alle tre età dell’uomo. Gaspare il più giovane, Baldassarre l’adulto e Melchiorre il più Vecchio. dal trittico di Hieronimus Bosch Un tempo in Nord Europa vi era la tradizione da parte del sacerdote di compiere un giro del paese per benedire le abitazioni. Dopo la benedizione segnava l’uscio di casa scrivendo con il gesso le iniziali dei Magi (C+M+B). Questa tradizione è ancora oggi viva nei paesi di lingua tedesca. Le tre iniziali corrispondono all’acronimo della benedizione latina Christus Mansionem Benedicat, che significa: “Cristo benedica [questa] casa” Franco Cardini racconta i Magi https://vimeo.com/496710052 Leggenda cristiana e mito pagano tra Oriente e Occidente, 2016 I riti di benedizione Benedizone dei gessetti Tradizionalmente un sacerdote benedice il gesso nella festa dell’Epifania pronunciando la seguente preghiera: Benedici, Signore Dio, questa creta (o questo gesso) tua creatura: perché abbia un salutare effetto per il genere umano; e concedi, per invocazione del tuo santissimo nome, che chiunque l’avrà presa o con essa avrà scritto sulle porte di casa sua i nomi dei tuoi santi Gaspare, Melchiorre e Bardassarre, per la loro intercessione e i loro meriti, riceva la salute del corpo e la protezione dell’anima. Per Cristo nostro Signore. Amen. Benedizione della casa Una volta ottenuto il gesso benedetto, un prete o un membro della famiglia può benedire la casa nel modo seguente: V. Pace a questa casa. R. E a coloro che vi abitano. Antifona – I Magi vennero dall’Oriente a Betlemme per adorare il Signore e, aperti i loro scrigni gli offrirono doni preziosi: oro come a gran Re; incenso come a Dio vero; mirra per la sua sepoltura, alleluia. Magnificat … Durante il canto del Magnificat si asperge e incensa la casa. Quindi, concluso il cantico, si ripete l’antifona. Padre nostro in segreto fino a V. E non ci indurre in tentazione. R. Ma liberaci dal male. V. Tutti quelli di Saba verranno. R. E porteranno incenso e oro. V. Signore, ascolta la mia preghiera. R. E il mio grido giunga fino a te. V. Il Signore sia con voi. R. E con il tuo spirito. Preghiamo O Dio, che in questo giorno colla guida d’una stella hai rivelato ai Gentili il tuo Unigenito; concedi benigno, che, mentre noi già ti abbiamo conosciuto per fede, giungiamo a contemplare lo splendore della tua maestà. Per il medesimo nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. R. Amen. Responsorio – Risplendi, risplendi, Gerusalemme, poiché viene la tua luce: sorta è su di te la gloria del Signore, Gesù Cristo nato da Maria Vergine. V. E le Genti cammineranno alla tua luce, e i re allo splendore che nasce in te. R. E la gloria del Signore è spuntata su di te. Preghiamo. Benedici, o Signore Dio onnipotente, questa casa, affinché in essa ci siano salute, purezza, forza di vittoria, umiltà, bontà e misericordia, l’adempimento della tua legge, il ringraziamento a Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. E rimanga questa benedizione su questa casa e su tutti coloro che vi dimorano. Per Cristo nostro Signore. R. Amen. I cantori della stella A seguito di tali tradizioni era quindi usanza alla Vigilia dell’Epifania in tutte le località del Friuli, dell’Istria e del Quarnero rievocare la venuta dei Magi con una questua a cui partecipavano ragazzi e adulti che, muniti di una stella (di varia forma e dimensione) fissata su un’asta, si recavano di casa in casa per ricevere offerte in natura o in denaro. In tutto l’arco alpino si trovano delle caratteristiche comuni: le date della ricorrenza sono generalmente i giorni antecedenti l’Epifania e a volte lo stesso sei gennaio; la stella, a cinque punte, è costruita artigianalmente: è rivestita di carta e accompagna i cantori per tutta la durata

La Corazzata “WIEN”

LA CORAZZATA “WIEN” Fonte: Wikipedia La SMS Wien è stata una nave da battaglia classe Monarch della k.u.k. Kriegsmarine, la marina militare dell’Impero Austroungarico. Impostata nel 1893 e varata nel 1895, venne classificata come “nave da battaglia da difesa costiera“. Nel 1897 partecipò alle manovre a Spithead per i 60 anni di regno della Regina Vittoria. Partecipò alla Prima Guerra Mondiale dai porti dell’Adriatico, bombardando le installazioni costiere di Golis il 9 settembre 1914 e nei giorni seguenti le batterie installate sulla costa del Montenegro. Alla fine del mese di agosto 1915 appoggiò gli sbarchi austriaci a Traste, nella zona di Cattaro.  Nell’agosto 1917 insieme alla sorella SMS Budapest venne assegnata a Trieste ed il 16 novembre successivo attaccò la batteria costiera di Cortellazzo: la Wien aprì il fuoco alle 10:35 da una distanza di circa 9 chilometri mettendo fuori uso la maggior parte dei pezzi di artiglieria italiani in mezz’ora. Dopo una prima incursione aerea difensiva senza efficacia, le navi austriache vennero attaccate da due MAS, i cui siluri non andarono a segno, e da cinque aerei verso le 13.30, ma poterono riprendere il tiro neutralizzando ulteriori batterie sulla costa che prima di essere messe fuori uso riuscirono a mettere a segno sette colpi sulla Wien senza tuttavia causare né particolari danni né perdite tra l’equipaggio. Il varo della K.u.K. SMS WIEN nei cantieri di Muggia nel 1985 LEGGI: “L’azione di Luigi Rizzo nel Vallone di Muggia” IL RECUPERO DELLA PRUA Nel 1925 vennero recuperati come pezzi di ricordo lo sperone di prua e il pezzo della poppa con il nome della corazzata; il primo venne regalato a D’Annunzio per il suo Vittoriale , mentre il secondo è oggi conservato al Museo Storico Navale di Venezia. Inoltre vennero recuperati altri pezzi come la fiancata colpita dai siluri ed alcuni frammenti murati poi nella diga foranea di Muggia che prese poi il nome di Rizzo. L’ancora venne regalata all’Ammiraglio, all’epoca Capitano di Vascello, Carlo Pignatti Morano di Custoza. Fonte Wikipedia IL RELITTO La demolizione del relitto proseguì fino agli anni ’50 quando tra il 1953 e il 1955 fu utilizzato anche l’esplosivo per il recupero. Oggi la SMS Wien giace ancora là dove è stata affondata. I suoi resti sono stati ritrovati nel 2008 a meno di mezzo miglio di distanza dalla Ferriera di Servola e a circa 20 metri di profondità. Articolo de “IL PICCOLO” del 29/06/2014

L’AZIONE DI LUIGI RIZZO NEL VALLONE DI MUGGIA

L’AZIONE DI LUIGI RIZZO NEL VALLONE DI MUGGIA 9-10 dicembre 1917 L’AFFONDAMENTO DELLA CORAZZATA “WIEN” di Ugo Gerini L’urgenza di eliminare la «Wien» e la «Budapest» era diventata assillante.La loro presenza a Trieste aveva fatto aumentare le già munite difese del porto. Gli austriaci avevano incrementato inoltre i posti di osservazione e di guardia sulle tre dighe foranee a protezione del Vallone di Muggia, avevano predisposto ronde in mare, rafforzato la chiusura degli accessi con ulteriori cavi metallici, sparso dovunque in abbondanza mine. Altre difficoltà attendevano inoltre Luigi Rizzo e gli equipaggi dei suoi MAS la cui mente era attanagliata da altre numerose perplessità: riuscire ad eludere la vigilanza dei proiettori nemici sul golfo, eliminare tutte le ostruzioni nel minor tempo possibile operazione che verosimilmente avrebbe richiesto ore di lavoro allo scoperto. Non ultimo il timore più che umano di non riuscire a fuggire una volta portato a termine l’attacco.La determinazione di Rizzo e dei suoi uomini era però massima. Il tentativo di violazione del porto di Trieste andava fatto ad ogni costo. Ma la riuscita era affidata, più che alla meticolosa preparazione, all’estro dei singoli e alla fortuna.Lo stesso Capitano di Vascello Carlo Pignatti Morano di Custoza (1869 -1944), che all’epoca dei fatti era Comandante del Dipartimento della difesa marittima di Ancona e dell’Alto Adriatico, non nutriva, unitamente allo stesso Costanzo Ciano, grandi speranze di riuscire nell’impresa di distruggere la Wien e la Budapest che nel frattempo erano state affiancate da una terza unità, l’Aspern. Fotografia scattata dai servizi segreti italiani : le corazzate Wien e Budapest nel Vallone di Muggia. L’aviazione italiana aveva accertato la presenza nel Vallone di Muggia delle potenti navi nemiche e la sera del 9 dicembre fu lo stesso Capitano di Vascello Pignatti Morano ad issare le proprie insegne sulla torpediniera “9 P.N.” che, insieme alla “11 P.N.”, uscì da Venezia con al traino il MAS 9 (comandante Luigi Rizzo coadiuvato dal nocchiere Giuseppe Battaglini) ed il MAS 13 (comandante Sottotenente di Vascello Andrea Ferrarini presente anche nell’azione di Cortellazzo). Era giunto per Rizzo e i suoi uomini il momento dell’azione.   Presero il largo da Venezia quando ormai era calata la notte. Il mare era leggermente mosso da levante, il buio accentuato dalla foschia. Il vento era assente ma il freddo particolarmente pungente. Rizzo aveva indossato il casaccone di pelle, il berretto di lana sul quale aveva infilato il casco di cuoio e si era infilato anche i guanti. Soffriva di artrite Rizzo. Artrite che aveva contratto nelle lunghe veglie notturne in mare aperto. Si era spalmato unguento lenitivo che emanava un acuto odore di canfora di cui era principalmente costituito. Gli equipaggi puntarono il mare aperto per evitare gli sbarramenti di torpedini estesi davanti a Cortellazzo e l’insidia dei proiettori nemici situati a terra. Man mano che avanzano, la nebbia si fece sempre piu’ densa. Oltrepassato il traverso di Capo Salvore, la nebbia era talmente fitta da far sorgere il dubbio di poter continuare, in simili condizioni, la navigazione che fino a quel punto era stata basata unicamente sul senso d’orientamento dei piloti. Si decise di proseguire ugualmente sperando nella fortuna. Le torpediniere, per ore, non vedevano innanzi alle prue ed il cielo era implacabilmente chiuso, senza stelle utili per regolare la rotta. Sono le ore ventidue quando il Comandante Pignatti di Morano ordinò di ridurre la velocità: aveva la sensazione, dall’odore di legno bruciato che avvertiva nell’aria, che la costa non fosse poi così tanto lontana e, di conseguenza, che il pericolo di avvistamento da parte del nemico fosse dietro l’angolo. Fece arrestare i motori delle torpediniere constatando di fatto di trovarsi a poche centinaia di metri dalla costa. Ma quale costa? Il buio era pesto. Rizzo osservò che il gruppo attaccante era stato trascinato dall’oscurità e dalle correnti marine su una rotta più meridionale rispetto a quella che era stata disegnata. Dopo aver opportunamente accostato si portarono nel punto dove era stato prestabilito che i Mas si sarebbero staccati dalle torpediniere.   Il MAS 9 di Luigi Rizzo Era giunto il momento di lasciarsi. I due MAS, da quel momento, sarebbero andati incontro al loro destino.Scriverà il Pignatti Morano: «I nostri cuori li accompagnano. Nell’oscurità della notte, scorgendoci appena, scambiamo a fior di labbra, per non farci udire da terra, gli auguri, gli addii. Ci abbracciamo. I marinai delle torpediniere, anche quelli delle macchine, sono tutti sul ponte, silenziosamente, agitando le braccia…». Pianta originale del forzamento del Vallone di Muggia Alle 22.45 i MAS, al traino, sganciarono le funi al largo di Punta Salvore e, nonostante la nebbia, proseguirono giungendo alle 23.55 a velocità ridottissima alla testata nord della grande diga di Muggia. La nebbia, improvvisamente, iniziò a diradarsi. Rizzo fece attivare i motori elettrici, per ridurre il rumore al minimo e, di conseguenza, le possibilità di individuazione da parte del nemico. La sua temerarietà arrivò al punto di far ormeggiare il Mas sotto la scogliera della diga. Balzò a terra, da solo, per assicurarsi che non vi fossero sulla diga sentinelle e ulteriori posti di osservazione nemici sulle altre due vicine dighe.Poi, sempre da terra, fece accostare i Mas con una cima posizionata in prossimità dell’ostruzione recante i cavi di acciaio che sbarravano l’accesso al porto. Cominciò così la lunga e drammatica operazione di forzamento. I cavi erano molto numerosi, più del previsto, ed in qualsiasi istante la luce dei proiettori poteva centrare quella piccola pattuglia di sabotatori e far scattare l’allarme scatenando il fuoco di tutte le batterie di Trieste. In qualsiasi istante una sentinella avrebbe potuto notare il movimento oppure un battello di sorveglianza individuarli dal mare.   Lavorarono febbrilmente e il sudore che colava copioso, nonostante il freddo, sugli strumenti rendeva ancora più difficile l’operazione di forzamento delle ostruzioni. E il tempo che passava inesorabilmente aumentava l’ansia di non farcela. Il taglio dei cavi e delle ostruzioni richiese circa due ore di duro lavoro. Per colmo di sfortuna, dopo che furono tagliati i cavi più grossi, la cesoia idraulica smise di funzionare e Rizzo e i suoi uomini dovettero