STORIE de STORIA de MUIA

L’AZIONE DI LUIGI RIZZO NEL VALLONE DI MUGGIA

L’AZIONE DI LUIGI RIZZO NEL VALLONE DI MUGGIA 9-10 dicembre 1917 L’AFFONDAMENTO DELLA CORAZZATA “WIEN” di Ugo Gerini L’urgenza di eliminare la «Wien» e la «Budapest» era diventata assillante.La loro presenza a Trieste aveva fatto aumentare le già munite difese del porto. Gli austriaci avevano incrementato inoltre i posti di osservazione e di guardia sulle tre dighe foranee a protezione del Vallone di Muggia, avevano predisposto ronde in mare, rafforzato la chiusura degli accessi con ulteriori cavi metallici, sparso dovunque in abbondanza mine. Altre difficoltà attendevano inoltre Luigi Rizzo e gli equipaggi dei suoi MAS la cui mente era attanagliata da altre numerose perplessità: riuscire ad eludere la vigilanza dei proiettori nemici sul golfo, eliminare tutte le ostruzioni nel minor tempo possibile operazione che verosimilmente avrebbe richiesto ore di lavoro allo scoperto. Non ultimo il timore più che umano di non riuscire a fuggire una volta portato a termine l’attacco.La determinazione di Rizzo e dei suoi uomini era però massima. Il tentativo di violazione del porto di Trieste andava fatto ad ogni costo. Ma la riuscita era affidata, più che alla meticolosa preparazione, all’estro dei singoli e alla fortuna.Lo stesso Capitano di Vascello Carlo Pignatti Morano di Custoza (1869 -1944), che all’epoca dei fatti era Comandante del Dipartimento della difesa marittima di Ancona e dell’Alto Adriatico, non nutriva, unitamente allo stesso Costanzo Ciano, grandi speranze di riuscire nell’impresa di distruggere la Wien e la Budapest che nel frattempo erano state affiancate da una terza unità, l’Aspern. Fotografia scattata dai servizi segreti italiani : le corazzate Wien e Budapest nel Vallone di Muggia. L’aviazione italiana aveva accertato la presenza nel Vallone di Muggia delle potenti navi nemiche e la sera del 9 dicembre fu lo stesso Capitano di Vascello Pignatti Morano ad issare le proprie insegne sulla torpediniera “9 P.N.” che, insieme alla “11 P.N.”, uscì da Venezia con al traino il MAS 9 (comandante Luigi Rizzo coadiuvato dal nocchiere Giuseppe Battaglini) ed il MAS 13 (comandante Sottotenente di Vascello Andrea Ferrarini presente anche nell’azione di Cortellazzo). Era giunto per Rizzo e i suoi uomini il momento dell’azione.   Presero il largo da Venezia quando ormai era calata la notte. Il mare era leggermente mosso da levante, il buio accentuato dalla foschia. Il vento era assente ma il freddo particolarmente pungente. Rizzo aveva indossato il casaccone di pelle, il berretto di lana sul quale aveva infilato il casco di cuoio e si era infilato anche i guanti. Soffriva di artrite Rizzo. Artrite che aveva contratto nelle lunghe veglie notturne in mare aperto. Si era spalmato unguento lenitivo che emanava un acuto odore di canfora di cui era principalmente costituito. Gli equipaggi puntarono il mare aperto per evitare gli sbarramenti di torpedini estesi davanti a Cortellazzo e l’insidia dei proiettori nemici situati a terra. Man mano che avanzano, la nebbia si fece sempre piu’ densa. Oltrepassato il traverso di Capo Salvore, la nebbia era talmente fitta da far sorgere il dubbio di poter continuare, in simili condizioni, la navigazione che fino a quel punto era stata basata unicamente sul senso d’orientamento dei piloti. Si decise di proseguire ugualmente sperando nella fortuna. Le torpediniere, per ore, non vedevano innanzi alle prue ed il cielo era implacabilmente chiuso, senza stelle utili per regolare la rotta. Sono le ore ventidue quando il Comandante Pignatti di Morano ordinò di ridurre la velocità: aveva la sensazione, dall’odore di legno bruciato che avvertiva nell’aria, che la costa non fosse poi così tanto lontana e, di conseguenza, che il pericolo di avvistamento da parte del nemico fosse dietro l’angolo. Fece arrestare i motori delle torpediniere constatando di fatto di trovarsi a poche centinaia di metri dalla costa. Ma quale costa? Il buio era pesto. Rizzo osservò che il gruppo attaccante era stato trascinato dall’oscurità e dalle correnti marine su una rotta più meridionale rispetto a quella che era stata disegnata. Dopo aver opportunamente accostato si portarono nel punto dove era stato prestabilito che i Mas si sarebbero staccati dalle torpediniere.   Il MAS 9 di Luigi Rizzo Era giunto il momento di lasciarsi. I due MAS, da quel momento, sarebbero andati incontro al loro destino.Scriverà il Pignatti Morano: «I nostri cuori li accompagnano. Nell’oscurità della notte, scorgendoci appena, scambiamo a fior di labbra, per non farci udire da terra, gli auguri, gli addii. Ci abbracciamo. I marinai delle torpediniere, anche quelli delle macchine, sono tutti sul ponte, silenziosamente, agitando le braccia…». Pianta originale del forzamento del Vallone di Muggia Alle 22.45 i MAS, al traino, sganciarono le funi al largo di Punta Salvore e, nonostante la nebbia, proseguirono giungendo alle 23.55 a velocità ridottissima alla testata nord della grande diga di Muggia. La nebbia, improvvisamente, iniziò a diradarsi. Rizzo fece attivare i motori elettrici, per ridurre il rumore al minimo e, di conseguenza, le possibilità di individuazione da parte del nemico. La sua temerarietà arrivò al punto di far ormeggiare il Mas sotto la scogliera della diga. Balzò a terra, da solo, per assicurarsi che non vi fossero sulla diga sentinelle e ulteriori posti di osservazione nemici sulle altre due vicine dighe.Poi, sempre da terra, fece accostare i Mas con una cima posizionata in prossimità dell’ostruzione recante i cavi di acciaio che sbarravano l’accesso al porto. Cominciò così la lunga e drammatica operazione di forzamento. I cavi erano molto numerosi, più del previsto, ed in qualsiasi istante la luce dei proiettori poteva centrare quella piccola pattuglia di sabotatori e far scattare l’allarme scatenando il fuoco di tutte le batterie di Trieste. In qualsiasi istante una sentinella avrebbe potuto notare il movimento oppure un battello di sorveglianza individuarli dal mare.   Lavorarono febbrilmente e il sudore che colava copioso, nonostante il freddo, sugli strumenti rendeva ancora più difficile l’operazione di forzamento delle ostruzioni. E il tempo che passava inesorabilmente aumentava l’ansia di non farcela. Il taglio dei cavi e delle ostruzioni richiese circa due ore di duro lavoro. Per colmo di sfortuna, dopo che furono tagliati i cavi più grossi, la cesoia idraulica smise di funzionare e Rizzo e i suoi uomini dovettero

Saline e Palù

Le saline e la palù Fonte: post facebook del sig. Dino Cafagna L’industria del sale a Muggia risale almeno al medioevo: quale importante risorsa naturale era un bene estremamente prezioso e quindi furono utilizzate tutte le aree pianeggianti per costruire le saline. Grazie ai commerci del sale, che diventò la principale risorsa economica della città, Muggia conobbe momenti di particolare floridezza. La tradizione vuole che siano stati i templari, che qui avevano un importante magione, attorno al XIII secolo, a trasformare quelle paludi in redditizie saline. L’area più vasta (“saline maggiori”) era quella della valle di San Clemente (ora valle delle Noghere), attraversata dal Rio Ospo, molto ampie e molto redditizie. Il Comune di Muggia le dava in concessione solo ai cittadini muggesani e non agli stranieri e si faceva pagare 1/8 di quanto prodotto. Quello che restava veniva diviso tre quarti col proprietario e un quarto ai salinari (da qui il significato di “salario”). Vennero soppresse nel 1829 perché non più redditizie.Alla fine della seconda guerra mondiale le saline vennero interrate per creare una zona industriale. le saline della valle di San Clemente nel 1818; la freccia rossa indica la foce del rio Ospo. Veduta di Muggia dal lato orientale, 1905.In primo piano il “Pra de la Palu” dove un tempo a ridosso delle mura sorgevano le prime saline trasformatesi, dopo essere state abbandonate nel 1827, lentamente in paludi. A causa di ciò, in quel periodo, molti furono i casi dichiarati di malaria.In questa foto la palude è già diventata un prato erboso dove si svolgevano le competizioni tra le prime squadre di calcio locali: “l’Edera ” e tra la “Stuparich” e nel ventennio le manifestazioni del regime fascista.Si vedono gli ultimi due ponti, edificio scolastico, il castello restaurato con la nuova torre, ma non ancora con le rifiniture delle merlature, il basso edificio è la “scorzeria” dove venivano conciate le pelli e la torre circolare facente parte delle vecchie mura ancora oggi esistenti lungo l’attuale via RomaA sinistra il lavatoio pubblico che sarà demolito nel 1953 per costruire l’attuale stazione delle corriere. Il lavatoio della Palù I ponti della Palù Attorno al centro storico c’era una zona paludosa, da qui il dialettale “Palù”. In queste immagini è visibile sulla sinistra la “conseria” (conceria de Seppi) dove venivano allevati anche bachi da seta. Si intravede il ponte a 2 archi che si trovava in corrispondenza dell’entrata dell’attuale Ricreatorio “Penso”. In primo piano il “ponte de la palù” costruito dalla Repubblica Veneta nel 1462 e demolito nel 1914.Il ponte in pietra arenaria, a un solo arco, di 16 m., serviva a unire le due sponde del torrente “Fugnan”. Il ponte sulla foce del Fugnan nell’odierna via Battisti.  Sulla sinistra attualmente si trova il distretto sanitario ed il complesso del centro Olimpia. sulla destra oltre il ponte la zona occupata prima dal cantiere “Caliterna” ed oggi dall’omonimo posteggio.  In seguito fu incanalato il torrente “Fugnan” e le sponde furono rese edificabili. In questa foto del 1907 si vedono i lavori per la canalizzazione coperta nell’attuale via Roma. L’edificio visibile sulla sinistra corrisponde all’attuale banca Unicredit.